mercoledì 5 agosto 2020

"Outsiders" di Alfredo Accatino - La pittrice Bianca Bagnoli

Questo è un libro che parla di arte. Una originale carrellata di artisti delle più varie forme, sconosciuti ai più (io non ne avevo mai sentito nominare nemmeno uno), meritevoli di attenzione ma sfortunati: sono nati e vissuti nel momento o nel posto sbagliato, sono stati troppo scomodi per la società, oppure -molti di loro- sono stati cancellati dalla follia del nazismo e dei campi di sterminio.
La storia dell'arte (e probabilmente la letteratura) è stata in buona parte scritta dal caso. Chissà quanti tesori, quanti personaggi geniali abbiamo perso per strada... a solo motivo della loro sfortuna, di un mancato tempismo, del non aver incontrato la persona giusta che ne coltivasse la memoria.

Alfredo Accatino ha svolto una ricerca su questi personaggi ombra tanto più accurata quanto più difficile. Con uno stile dissacrante, assolutamente non accademico, colloquiale, ricco di riflessioni personali. Alcuni artisti mi hanno colpita, altri li ho scorsi annoiata, forse tutti andranno nel mio dimenticatoio personale. Ma leggendo, ho avvertito che questo libro non fosse un semplice saggio, una banale raccolta di nomi, ma che fosse un testo scritto col cuore. Questa sensazione difficilmente sbaglia: nel leggere la descrizione dell'ultimo artista riportato (lascio la sorpresa...) mi sono quasi commossa. Ed ho capito a pieno tutta questa passione. 

Ricordo anche io una piccola otsider: Bianca Bagnoli, cugina di mia nonna. Pittrice di Livorno, ha inventato un nuovo modo di fare quadri, intessendo i fili al posto dell'uso della pittura. Mi è tornata in mente qualche sera fa, su google non si trova altro che la data della sua morte, 1998. Sono stata una sola volta a casa sua e la ricordo straripante di quadri ovunque: sulle pareti, per terra, sui mobili. Chissà che qualche granello di quella autenticità non sia scorso, nelle vene delle generazioni, fino a me.

https://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/1998/06/15/LX313.html

domenica 12 luglio 2020

Alla ricerca del vero sè

"Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sè"
Alice Miller


Da molto tempo (anni) non leggevo un saggio di psicologia. Questo l'ho divorato in meno di 24 ore, probabilmente era proprio il libro giusto nel momento giusto. Scritto nella prima edizione nel 1979, forse presenta alcuni concetti un pò "datati", ma nonostante questo, mi sono "letta" e rispecchiata in molte delle verità che porta alla luce. 

E' un libro breve e abbastanza semplice. I messaggi principali che veicola, ridotti al nucleo, sono questi: 

1. E' lecito domandarsi quanto in noi sia genuino, e quanto no. Alcuni dei nostri comportamenti, anche quelli dei quali siamo sicuri ci rappresentino, potrebbero essere risposte date per compiacere i nostri genitori quando eravamo molto piccoli. Potremmo aver scelto di "essere bravi" come ci veniva richiesto, sacrificando quello che noi realmente avremmo potuto essere, costruendo un'impalcatura fasulla, molto stabile e sicura, dietro la quale ci siamo perduti. Ci vuole un gran lavoro di introspezione per arrivare a riconoscere questo.

Da "La storia infinita" (M. Ende) 
<< FA CIO' CHE VUOI, questo vuol dire che posso fare tutto quello che mi pare, non credi? >>
(...) <<No, (...) vuol dire che devi fare quel che è la tua vera volontà. E nulla è più difficile. >>
<< La mia vera volontà? (...) E che cosa sarebbe? >>
<< E' il tuo più profondo segreto, quello che tu non conosci. >>
<< E come posso arrivare a conoscerlo? >>
<< Camminando nella strada dei desideri, dall'uno all'altro, e fino all'ultimo. L'ultimo ti condurrà alla tua vera volontà. >>
<< Ma questo non mi pare tanto difficile. >>
<< Di tutte le strade è la più pericolosa. >>

2. L'educare i bambini con la violenza, porta ad avere una società violenta e malata, che riversa all'infinito le proprie sofferenze sui più deboli. E' necessario capirlo ed invertire la rotta. Agire sul singolo bambino per cambiare tutti.

3. Ciò che non mi è piaciuto, è l'accennare anche se fra le righe all'abnegazione che dovrebbe avere una buona mamma nei confronti dei figli. Quando si parla della mamma ho spesso l'impressione che si dimentichi che è molto di più: una donna, una lavoratrice e chissà che altro, magari un'artista, o una sportiva, o una strega. In questo genere di testi viene appiattita ad una figura che dona amore a profusione o che commette errori madornali. Il babbo, se non usa la violenza, va bene così com'è, non è che possa fare grandi danni. 

"Potremo mai liberarci del tutto dalle nostre illusoni? Ogni vita è piena di illusioni, proprio perchè la verità ci appare insopportabile. E tuttavia la verità ci è talmente indispensabile che ne scontiamo la perdita con gravi malattie. Cerchiamo perciò di scoprire in un lungo processo la nostra personale verità che, prima di donarci un nuovo spazio di libertà, fa sempre soffrire... a meno che non ci accontentiamo di una conoscenza intellettuale. Ma in tal caso ci ritroveremo ancora una volta immersi nelle illusioni."



mercoledì 8 luglio 2020

La canzone di Achille

"La canzone di Achille"
Madaleine Miller
Ed. Feltrinelli


Ho incontrato questo libro totalmente per caso mentre non lo stavo cercando.
Girellavo fra video a proposito di creatività e art journal, quando un'artista per trovare l'ispirazione suggeriva di partire da un libro, citando il suo preferito: "Circe", di Madaleine Miller. Mai sentito, mai sentita. Ho cercato sul sito della mia biblioteca e ho trovato un altro suo titolo: "La canzone di Achille". Proviamo. L'ho preso però con poca voglia; sono sempre stata incuriosita dalla possibilità di leggere Iliade e Odissea in versione romanzata e più accessibile rispetto alle originali, ostiche. Ma non mi sembrava il momento, non attuale con i miei desideri. Svogliatamente ho letto una pagina convinta che l'avrei abbandonato.

E poi l'ho letto tutto, in pochi giorni. Ed è diventato il mio libro preferito, facendo a spinte con Jane Eyre per guadagnare il podio. Jane è forte, per questo la amo, si è costruita da sola. Ma Achille è figlio di dea e guidato dal destino di una profezia.

Il soggetto è la storia d'amore fra Achille e Patroclo. Io non amo le storie d'amore, e penso che in un mondo saturo di sdolcinatezze letterarie, scriverne una veramente buona sia difficile oltre ogni dire. Madaleine ci è riuscita senza una virgola di banalità. Nei ringraziamenti finali scrive di aver impiegato dieci anni nella stesura di questo romanzo, il suo esordio. Dieci anni curva su una storia antica in un mondo che, perdendosi, corre sempre più veloce. 

La trama la conosciamo. Perchè mi è piaciuto così tanto? Avrei voglia di rileggerlo tutto adesso, io che non rileggo mai.

1. Patroclo è un personaggio anonimo (inizialmente), disegnato imperfetto e inadatto al ruolo di principe nelle idee del padre, e così si legge lui stesso. Spesso silenzioso, non particolarmente forte. In errore. L'anti- eroe. Ma con Achille: tutto merita di essere raccontato. "Questo, e questo e questo". Tutto assume la dignità della condivisione. Un amore- amicizia che apre gli occhi suol mondo. Come se da soli non riuscissimo a vedere tutti i colori.

2. Teti: personaggio meraviglioso. Trema il libro nelle mani quando lei giunge, tanto sono espressive le descrizioni del suo arrivo. Si chetano i rumori della foresta, sospeso rimane il sospiro del lettore. Terribile, inquietante, imprevedibile. Letteralmente, Teti esce dalla pagina. Il romanzo non riesce a restarsene lì buono, come fanno tutti gli altri.

3. Gli sfondi: tramite una lettura attenta è possibile notare che tutto partecipa alla vita e alle emozioni di Patroclo e Achille. Il cielo, la frutta, il vento, la grotta. Tutto è vivo e li rispecchia. Ci sono atmosfere che sciolgono il cuore come se fossero ricordi dello stesso lettore. Forse è il merito dell'epica? Di essere iscritta nel cervello rettile di ognuno di noi? Storie nate nella notte dei tempi, registrate nel profondo della nostra psiche. Dopo più di duemila anni, ancora le riconosciamo.

4. Madaleine non indugia in infinte descrizioni di battaglie. Può una guerra durata dieci anni essere descritta in breve? Sì. Ne arriva ugualmente tutta la forza, la disperazione, la desolazione della vera pochezza umana? Sì. Però non è mica facile.

5. Quando un libro è talmente bello, ho sempre paura che il finale non riesca ad essere all'altezza, perchè con premesse troppo alte è facilissimo che non lo sia. E invece.


(Foto scattata in Grecia)



giovedì 20 giugno 2019

Borges e Gozzano


Jorge Luis Borges
“Dall’intimità”
A cura di Francesco Tentori Montalto
Passagli Poesia
1991
106 pag.

Le parole di Borges, pronunciate sottovoce, ricordano l’attenzione alle piccole cose dei poeti crepuscolari. In alcuni dei suoi componimenti ho ritrovato la polverosa nostalgia di Gozzano. Per questo i suoi versi mi sono piaciuti tanto. 

Seppur non esplicitamente espresso, nelle sue parole emerge sempre un guardarsi indietro, un ritorno doloroso, un prendere coscienza del tempo che passa e di ciò che non è più. Ripete spesso la parola “oblio”, un ossimoro in quanto ci dimostra di ricordare bene tante cose piccole e insignificanti.  

Confrontando i due poeti, trovo che Gozzano sia maggiormente musicale nella lingua e più evocativo. Borges, alle nostre orecchie, soffre a mio avviso il passaggio dalla lingua d’origine alla traduzione in italiano.

Dedicarsi alla lettura di queste poesie è immergersi in luoghi lontani nel tempo, immutati e diversi allo stesso tempo, i quali in alcuni casi non ci riconoscono più (il soggetto dello sguardo si immedesima così tanto con l’oggetto che ne nasce una simbiosi e non è più il poeta a non riconoscere il luogo, ma viceversa). Gozzano osserva e si lascia trasportare in una tristezza che, leggendo, diventa la nostra: ognuno di noi ha un luogo remoto a cui chissà se voglia tornare o meno, ma da dove non può star lontano con l’immaginazione e il cuore. Borges invece è stupito dalla polvere, non ricorda quella determinata luce, quegli angoli, come se ci fosse qualcosa di lieve a guastare il ricordo, fosse anche solo un’atmosfera. O a cambiare è lo sguardo stesso? Che impatto hanno su di noi, più che sui luoghi, gli anni che sono trascorsi?

Il Ritorno
Trascorsi tutti gli anni dell’esilio
Sono tornato alla casa dell’Infanzia,
ma ancora siamo l’uno all’altra estranei.
Hanno toccato le mie mani gli alberi
Come se accarezzassi una persona
Cara nel sonno,
ho rifatto i sentieri di una volta come se a un tratto ricordassi un verso
e ho visto mentre scendeva la sera
l’esile luna nuova
cercare la protezione dell’ombra
sotto la palma delle alte foglie
come l’uccello quella del suo nido.
Quanti cieli vedrà questo cortile
Fra le sue mura, quanti
Tramonti faran profonda la via,
quante fragili lune al primo quarto
daran la loro dolcezza al giardino
prima che la mia casa mi ravvisi
e io sia una sua abitudine!

L’analfabeta (La via del rifugio) Gozzano - estratto
Nascere vide tutto ciò che nasce
in una casa, in cinquant’anni. Sposi
novelli, bimbi... I bimbi già corrosi
oggi dagli anni, vide nelle fasce.

Passare vide tutto ciò che passa
in una casa, in cinquant’anni. I morti
tutti, egli solo, con le braccia forti
compose lacrimando nella cassa.
 (…)
Biancheggia tra le glicini leggiadre
l’umile casa ove ritorno solo.
Il buon custode parla: "O figliuolo,
come somigli al padre di tuo padre!
(…)
Oh! il piccolo giardino ormai distrutto
dalla gramigna e dal navone folto...
Ascolto il buon silenzio, intento, ascolto
il tonfo malinconico d’un frutto.
(…)

mercoledì 12 giugno 2019

"L'orchessa e altri racconti" di Irene Nemirovsky


Irène Nemirovsky
“L’orchessa – e altri racconti”
Ed. Adelphi, 2014
Racconti scritti fra il 1932 e il 1941

260 pagine
18 euro

Sono entrata in un salotto buono, con i mobili lucidi, niente granelli di polvere, i divani immacolati, la cenere di un sigaro riposava in un posacenere d’argento. Le buone maniere contraddistinguevano i membri della famiglia, un pranzo domenicale e sonnacchioso, bambini che gridavano sgridati dagli adulti, chiacchiere sommesse, digestione lenta, sorrisi garbati. E dietro, il vuoto.

L’insoddisfazione profonda, radicata nell’animo umano, aveva trovato perfetta dimora nell’esistenza borghese, appesantita da un pranzo troppo ricco, ma era pur sempre domenica.

Questo è il palcoscenico nel quale entriamo, non visti, sfogliando le pagine di questi racconti. Il mio primo libro di Irène Nemirovsky. Nessuna aspettativa, se non curiosità per un nome letto spesso, per un titolo promettente accompagnato dall’immagine di una bella donna che in riva a un fiume ritocca il rossetto. Questi elementi mi hanno condotta al livello successivo: leggere la quarta di copertina. Promettente anch’essa: rapporti fra madri e figlie, difficili, “un destino di rassegnazione e attesa che segna la vita di molte donne”. Curiosa della condizione femminile, che mi è propria seppur mutata nel tempo, ho portato con me allora dalla biblioteca questo libro e si è rivelato una lettura incredibilmente veloce.

Amo il genere del racconto: credo che uno scrittore debba essere particolarmente abile per cimentarsi con successo in questa impresa, perché deve condensare un’idea attraverso i suoi tratti essenziali, senza fronzoli, o solo con quelli giusti.

Irène ci racconta la vita di donne sole: sole sotto le luci dello spettacolo, sole in famiglie che sono state scelte per loro, sole nella vecchiaia, sole nell’universo dabbene borghese dove ai mariti è concesso tutto, anche il tradimento, mentre a loro non rimane che scavarsi un carattere duro, critico e tagliente, comunque rispettabile. Perché dalla rispettabilità della donna dipende quella della sua famiglia. 

Irène ci racconta i difficili mutamenti dei rapporti con i figli: da dipendenti, dolci, innamorati della propria madre a distanti, forzati, perduti dietro i propri affari e cordialmente scocciati dei doveri affettivi. Un ciclo che si ripete, e ripete, creando nella vecchiaia incolmabili solitudini a conclusione di una vita di rinunce e insoddisfazione.

Irène racconta, poco prima dell’arresto che l’avrebbe condotta ad Auschwitz ed alla morte prematura, anche quando doveva restare nascosta: lo fa usando uno pseudonimo, facendo pagare e consegnare i suoi scritti dalla balia delle sue figlie. Leggere questi racconti è perciò ascoltare una voce disperata che qualcuno avrebbe voluto obbligare al silenzio.

Perché leggere parole di un’epoca da noi, millenials, ormai lontana?
Per sbirciare sotto il tappeto dei nostri nonni, dei quali noi siamo pur sempre figli, e riconoscerci, chissà, in un sorriso forzato o in uno sbadiglio.

giovedì 30 maggio 2019

Vi racconto una storia

C'era una volta... il bisogno di un ennesimo blog letterario?
No, sicuramente nessuno ne sentiva la mancanza.
Questo mi ha bloccata a lungo: proporre e curare un qualcosa di cui il web già abbonda. Straripano le parole, le opinioni, le recensioni, le pubblicazioni di tutti. Ma poi ho pensato che mancavano le Mie.
Credendo nell'unicità della persona e conseguentemente del suo pensiero, mi sono fatta coraggio e ho deciso che sì, di voci ce ne sono anche troppe, ma nessuna potrà essere uguale a un'altra, sempre che la bocca di chi parla sia collegata al cervello.
Perciò ho deciso di fare un regalo ai miei pensieri tormentosi e distratti: una pagina dove planare, calmi, e trovare il conforto del nero su bianco, seppur in digitale. La lucidità e la trasparenza che la parola scritta ha guadagnato su quella orale sin dai tempi dei Sumeri.
E di che parleremo?
Di libri, principlamente.
Opinioni, che spero col tempo diventeranno confronti.
Nella libreria della mia città, c'è un gruppo di libraie che indossa una maglietta con su scritto "Leggo per legittima difesa".
Che la cultura sia per noi arma, scudo e nido, sempre.
Grazie per il tempo che dedicate alle mie parole e ai miei pensieri. 
Raccontiamoci una storia.